Pasquale Capano: una vita da vasaio

Mastro Pasquale, l’ultimo pignataro

Manufatti in ceramica al Museo di Belvedere (Cs)

«Mastro Pasqua’, se vi sedete vi faccio una foto al tornio». Neanche finisco la frase che si toglie il cappotto e il berretto. Con uno slancio, salta su e si siede. Non sta in posa un attimo, Pasquale Capano: una vita da vasaio (ottenove)

Una vita, infatti, a lavorare l’argilla nella sua bottega di Belvedere Marittimo, centro del Tirreno cosentino noto per la ceramica.

Chi è il pignataro calabrese e cosa realizza con l’argilla

È un pignataro, un artigiano che con la creta ha modellato vasi per la salagione, la salsa di pomodoro fatta in casa, la salsiccia; contenitori per l’olio, per trasportare l’acqua e tenerla al fresco; lucernai; salvadanai; giare.

E altri manufatti domestici che, a queste latitudini, chiamano langelle, vummuli, lucicelle, pignate, carusilli.

Un corollario di nomi (la lista è lunga) che forma l’alfabeto della vita semplice, quando, infatti, ci si accontentava con poco. Si esaltava l’ingegno per trovare un accordo con la natura e con quel che offriva.

Pasquale Capano, una vita da vasaio (al tornio)

Siamo nel “Museo delle Stanze del tempo e dell’Amore”, gestito dall’associazione “Agorà”, presieduta da Enzo Molino, ceramista. È felice mastro Pasquale: si sente a suo agio in questo edificio del centro storico che abbraccia la spianata azzurra, tra vicoli e gatti distratti.

Mastro Pasquale e il legame della ceramica

Nella prima stanza del Museo c’è il tornio, dove si è seduto per qualche minuto; manufatti domestici (molti li ha creati lui) allineati in scaffalature che rimandano alle fornaci tipiche di Belvedere.

Nelle altre è ospitata la collezione privata di ceramiche di Pino La Fauci (in arte “Pink”) con cui Pasquale Capano ha, infatti, collaborato negli ultimi quarant’anni; oltre a reperti rinvenuti nelle contrade di questa cittadina della Rivera dei Cedri.

Come Pasquale Capano è diventato vasaio calabrese

Cerco di scattare la foto, ma credetemi non è facile: mastro Pasquale, con la mente e con il cuore, è da un’altra parte.

Seduto al tornio, è come se tenesse in mano uno dei tanti vasi che, infatti, ha forgiato da quando aveva 16 anni.

A quei pezzi di argilla che ha lavorato fino alla pensione: l’ultimo è una giara a punta simile a quelle che trasportavano i velieri con l’olio, il vino, soldi e oro.

Con un piede gira il tornio, simulando scene che nella sua vita si sono ripresentate ogni giorno, sin da quando ha iniziato a scoprire questo mondo, lui che non proveniva da una famiglia di vasai.

L’eredità di Mastro Pasquale il “pignataro”

Tuttavia, nessuna discendenza, nessun testimone da raccogliere dal padre. Eppure, ora si trova con un’eredità da pignataro.

Mastro Pasquale guarda al passato con tenerezza; non ha mai pensato a chi tramandare i suoi segreti, la sua arte. I figli, infatti, sono insegnanti e lavorano fuori.

«Qualcuno si è avvicinato a questo mestiere, ma poi ci ha ripensato, abbandonando. Le mie giornate erano faticose: si metteva ad asciugare l’argilla. Poi la si pestava con i piedi. Bisognava farla spugnare prima di manipolarla. Seguire la lavorazione tradizionale, pertanto, non è così redditizio e poi con i nuovi macchinari tutto è più facile, più veloce».

A te non costa nulla. Per me è una fonte di soddisfazione enorme.

La creta calabrese (u matallu) e l’estrazione dalle cave

Materiali per smaltare l’argilla

È stato il caso a farlo ritrovare, sedicenne, in una bottega del posto. Si è avvicinato alla creta (u matallu) con rispetto, determinazione, grazia, abilità.

«Tante volte sono andato a estrarla dalle cave. E quante altre ancora abbiamo portato a piedi questi vasi alle fiere».

Mi racconta, quindi, della sua partecipazione ai campionati mondiali a Faenza; del lavoro duro davanti alla fornace, a quel caldo e alle temperature da saper gestire per non mandare tutto in malora. Delle fasi per smaltare i vasi con pezzi di silice, piombo e altri materiali.

L’amicizia con Pino La Fauci “Arte Pink”

Quando parla della lunga collaborazione con Pino La Fauci, che segna un forte legame di amicizia e di arte duraturo nel tempo, la sua voce, tuttavia, si incrina.

I maestri ceramisti Pino La Fauci (Pink) ed Enzo Molino 

«Lui è stato fondamentale in un momento della mia vita. Avevo deciso di abbandonare questo lavoro, dopo uno spauracchio per la mia salute. Andai da Pino e gli confessai che avrei fatto il muratore. Mi guardò. Subito dopo disse che nel suo laboratorio c’era un tornio anche per me. È iniziato tutto così: io ho continuato a plasmare l’argilla. 

I rituali della mattina, impastando creta

Lui a disegnare quei personaggi che racchiudono la sua cifra stilistica. Ora la mattina ci troviamo al suo laboratorio. Il caffè è un nostro rituale. Vengono altri amici artigiani e pensiamo a quanto possiamo fare».

Alla parete del Museo c’è anche una sua foto da giovane, con le mani impastate di creta e il camice blu con delle macchie grigie.

Alla fine del mio viaggio con Mastro Capano

«Al tornio avverto affetto, passione per l’argilla da modellare. Si creano pezzi per il piacere di farlo. Senza amore e sacrificio è come una storia priva d’anima. Una strada in salita, ma questo lavoro è stato vita per me. Il caso, quindi, mi ha fatto pignataro e ne sono orgoglioso».

Lo abbraccio e mi sento, così, di aver danzato nella stanza dei ricordi e della bellezza, accompagnata dalle mani di quest’uomo, che hanno solchi profondi.

 

 

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